16/08/2022

ALLE RADICI DEL FESTIVAL

ALLE RADICI DEL FESTIVAL

«Un popolo / mettetelo in catene / spogliatelo / tappategli la bocca / è ancora libero. / Levategli il lavoro / il passaporto / la tavola dove mangia / il letto dove dorme, / è ancora ricco. / Un popolo / diventa povero e servo / quando gli rubano la lingua / ricevuta dai padri: / è perso per sempre.»  

Così cantava il poeta siciliano Ignazio Buttitta nella sua Lingua e dialettu. Lo citò Pier Paolo Pasolini negli Scritti corsari, dove profetizzava con la scomparsa dei dialetti la scomparsa del mondo contadino. Le stesse radici contadine da cui hanno succhiato, oltre che Pasolini nel Friuli di Casarsa, altri due protagonisti di rilievo della letteratura italiana del Novecento, nati in quel 1922 di cui si ricordano i cento anni: Luigi Meneghello sulle colline di Malo e Beppe Fenoglio sulle alture delle Langhe. A loro e alle loro “piccole lingue” il Festival dedica una tavola rotonda, all’interno del programma di “Parole alte” e di un omaggio al mondo contadino che percorre tutta la ventottesima edizione, intrecciando film, incontri e mostre.  

Il Festival si apre e si chiude con due storie di contadini, emblematiche e archetipiche, che toccano temi consueti in questi quasi trent’anni di programmazione. “Andare o restare” è il tormento della giovane Cainà che si imbarca ai piedi del Gennargentu per fuggire per mare verso il miraggio del Continente, scampando al naufragio della tempesta ma non a quello della vita, nel film Cainà. L’isola e il continente di Gen naro Righelli. “Il giudizio e il pregiudizio” sono quelli che vive il pastorello Checo, sopranomi- nato Spaventapasseri per le sue misere origini e condizioni, figura disegnata dalla penna di David Maria Turoldo, sceneggiatore del film Gli ultimi di Vito Pandolfi.  Il mondo contadino lo raccontò e cantò Dino Coltro che, insieme con Cierre Edizioni, il Festival omaggia in una delle quattro mostre di questa edizione, Coltro indagò le “Basse”, le colline e le montagne contadine e si adoperò per sostenere la voglia di riscatto dei braccianti e dei salariati e perché la terra fosse «di chi la lavora». Lo stesso grido che abbiamo sentito in alcuni dei 982 film valutati in selezione quest’anno dai campesinos sudamericani o che ritroviamo nei numerosi racconti di giovani che oggi restano a vivere in montagna, siano essi nella vicina Val Leogra o nel lontano parco di Oze in Giappone. «Parlate male con quel vostro dialetto, ci sgrida- va la maestra. Dovete imparare l’italiano», raccontava Dino Coltro. E invece quei ragazzi che possedevano una lingua si sentivano ricchi, e non perché possedevano soldi.  

Quanti sono i dialetti e le “piccole” lingue che echeggiano dai 44 paesi del mondo dei 68 film di quest’anno? Sono quelli che si parlano nelle capanne dei villaggi vietnamiti, nelle valli rurali etiopi, nel segreto della Foresta Amazzonica, nel remoto Tibet, nei borghi disabitati alpini e appenninici. «Coltro fece capire che il mondo popolare andava studiato mettendosi dalla par- te dei poveri», scrive Bepi De Marzi, protagonista del documentario dedicato a Mario Rigoni Stern nella sezione “Montagne italiane”. «Mostrò il mondo contadino nella sua disperata poesia», aggiunge il maestro di Signore delle cime. Il Film Festival della Lessinia si è sempre messo dalla parte dei poveri e, naturalmente, dalla parte della montagna, raccontandone anche la «disperata poesia».

Accade, in questo viaggio di 91 eventi, di “mettersi dalla parte” degli uomini che dipinsero d’ocra le rocce dei Tepui colombiani 12.500 anni fa, dei contadini albanesi ritratti da Giovanni Cobianchi nelle fotografie di VETEM e nel film La vergine albanese, dello scienziato protagonista di Holgut (nella sezione FFDLgreen dedicata alle opere di tema ambientale) che cerca nello sciogliersi del permafrost il DNA dei mammut, del tormentato protagonista de La roya, disperatamente aggrappato alle sue piantagioni di caffè, su quelle Ande da dove decide di non sradicarsi, dei bambini lettoni che si cibano dell’ottimo cibo buttato ogni giorno nella spazzatura da una civiltà che spreca colpevolmente. Un’esplorazione nel tempo, nello spazio e nell’animo umano, dunque, come quella che gli artisti residenti del progetto “SÅM – Esplorazione visiva della Lessinia” hanno compiuto in questi mesi e di cui espongo- no al Festival gli esiti.  

Ciò che accomuna tutti gli esploratori è la curiosità, sia che si scenda, come nel film Into the Ice, nei crepacci dei ghiacci che si stanno sciogliendo in Groenlandia, o si salga a 408 chilometri sulla Stazione Spaziale Internazionale per vedere dall’alto i ghiacciai delle Alpi che si ritirano, come ha potuto fare l’astronauta Luca Parmitano, ospite del Festival per parlare della “fragile terra”. È l’inseguire «virtute e canoscenza» dell’Ulisse dantesco, esploratore ante litteram, che risuona al Festival nel libro L’alta fantasia e nel film Dante di Pupi Avati, ospite di chiusura di questa edizione.  

Con la lingua dei poveri e dalla parte dei contadini calabresi sono costruite anche le narrazioni di Michelangelo Frammartino di cui il Festival presenta, oltre che il film Le quattro volte che lo rivelò al mondo, Il buco, arricchito da una mostra con le foto inedite scattate da Natalino Russo sul set. Gli sguardi dei protagonisti del film sono quelli di contadini che osservano stupiti gli speleologi che scendono a seicento metri sottoterra nella grotta del Bifurto e, increduli, davanti a un televisore, vedono innalzarsi il grattacielo. Volti contadini sono anche quelli di tanti protagonisti dei film di Pier Paolo Pasolini di cui il Festival omaggia il centenario dalla nascita proponendo le “sue montagne”, i luoghi dove ha girato film diventati patrimonio della storia del cinema.   Negli occhi del manifesto della ventottesima edizione immaginiamo quelli dei registi e delle registe che, ventinove in anteprima italiana, salgono idealmente in Lessinia per farci guardare da prospettive inconsuete il nostro tempo e la nostra società e quelli degli spettatori e delle spettatrici alla ricerca di una prospettiva alta. Tra di loro chi più di tutti guarda al futuro sono i bambini e le bambine. La loro esplorazione al Festival riserva una programmazione di animazioni e cor- tometraggi dove tornano i temi del legame con la Madre Terra, dell’insulsa pretesa umana di vivere in disarmonia con la Natura, della voglia di conoscenza che sfocia nell’accettazione del mistero. Ai bambini il Festival propone di spor- carsi le mani nei boschi, di far suonare i rifiuti come fossero flauti, di imparare a far formaggio e a riconoscere le erbe medicinali. Ai bambini come agli adulti il Festival invita a perdersi per ritrovarsi, a orientarsi con le stelle, a riconoscere nell’architettura e nel paesaggio della Lessinia i modi con cui montanari captavano e conservavano l’acqua.  

Se con la propria lingua, nel grido poetico di Buttitta, un popolo può dirsi libero, il Film Festival della Lessinia succhiando dalla terra che l’ha generato, con radici cresciute in tre decenni di lavoro e passione, con il fusto forte dell’esperienza e della consapevolezza, innalzando le fronde della sua ricerca e della sua programmazione verso il mondo, può dirsi libero, soprattutto quest’anno, quando tentiamo di uscire da due anni di chiusura non soltanto fisica, ma anche intellettuale e spirituale. È di una comunità contadina profondamente radicata, come quella delle corti della pianura o delle contrade di montagna, che sentono di far parte i soci, i professionisti e i volontari del team del Film Festival della Lessinia con cui ho condiviso un anno tra i più complessi della storia del Festival e a cui va la mia profonda gratitudine.  

Fanno parte di questa comunità gli enti, gli sponsor, i partner in cammino insieme con noi, come in una cordata di montagna. E come fossimo nello spazio aperto delle comunità vernacolari, dove le corti non avevano proprietà privata ma erano spazi di tutti, accoglieremo gli ospiti, gli spettatori e le spettatrici, i giornalisti e i giurati come ci ritrovassimo intorno all’olmo della Corte di Rivalunga dove i contadini avevano inventato, sessant’anni fa, la prima “cooperativa di cultura, ricreazione e arte”: le radici del Festival.           

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