24/08/2020

INTERVISTA A OSKAR ALEGRIA (REGISTA ZUMIRIKI)

INTERVISTA A OSKAR ALEGRIA (REGISTA ZUMIRIKI)

La casa di Oskar stava in mezzo al fiume Arga: un’isola di alberi e sabbia, ora coperta dalle acque. L’uomo fa ritorno alle sponde paterne per fotografare la memoria di ciò che ha perduto: la sua camera oscura è una cabina, coperta dalle fronde; il suo sguardo è un occhio nudo, l’occhio di un pastore che filma senza pensiero né tempo. Oskar raccoglie e compone frammenti di storie che in pochi rammentano, nella sua Navarra, tracciando un percorso multiforme. Seduto accanto a chi sta per lasciare la sua casa, in solitudine, aspetta un solo cenno nell’oscurità che cala: Zumiriki è una parola antica, appartiene a una lingua quasi dimenticata. Ma è anche uno spazio fisico, che ora non c’è più, verso il quale Oskar Alegria si ostina a volgere lo sguardo. Mentre ogni albero, animale e oggetto pare nascondersi dal tempo, il regista si affida ai flutti che hanno travolto ogni segno del suo passato, naufragando nella propria memoria. 


Come ti è venuta l'idea di questo "eremitaggio"? Qual era il tuo bisogno?

Credo che sia un bisogno umano. Tornare ai giorni della nostra infanzia è un tema comune, esplorato più volte. Non si tratta solo di vivere nella natura e recuperare quei giorni in cui gli orologi non funzionavano. Si tratta anche di scollegarsi dal presente e nascondersi nelle nostre memorie. Provare a vivere due volte, questa è la grande magia del cinema.


Il tuo film lavora su molti livelli, sorprende sempre con idee originali e tecniche diverse. Come hai organizzato il lavoro? Avevi già uno script prima di filmare o l'hai scritto mentre eri nella cabina? O hai organizzato tutto in montaggio? Quanto è durato il progetto?

Inizialmente la mia idea era di scrivere un libro, un'agenda con gli alberi dell'isola. Questo si trova nel film ed è diventato il copione. Ho anche scritto un diario sotto forma di lettere, come fanno i naufraghi: lettere nelle bottiglie, nel fiume, abbandonate e senza una destinazione e il film usa anche queste lettere come copione. Si dice sempre che il libro è meglio del film. Forse volevo contraddire questa idea, inserire direttamente il libro nel film e farlo come se lo stessi scrivendo sulla carta.


Zumiriki significa "isola in mezzo al fiume"; spesso l'uomo viene rappresentato come un figura tra la terra e il cielo: secondo me, gli anziani pastori filmati nel buio riescono a collocarsi in questo “mezzo”, tra il mondo visibile e quello invisibile. Le tradizioni giocano un ruolo centrale in questo senso?

Certo. Come la mitologia. Questa Zumiriki e la foresta che la circonda sono gli unici posti al mondo che io conosca dove la scienza non riesce a dare risposte e men che meno a porre le domande giuste. E' l'ultima risorsa, dove si trovano... Come mi hanno suggerito questi pastori, se vuoi diventare invisibile nella foresta, devi portare con te una piuma colorata che l'usignolo nasconde nel suo nido... ed è così.


Nel tuo film, il recupero delle memorie è connesso alla scomparsa di uno spazio fisico: quanto le modifiche dell’uomo sul pianeta Terra influenzano la spiritualità propria dell'uomo?

Mmm, bella domanda. Per me, anche la scomparsa di un antico linguaggio è parte di quel paesaggio. La prima cosa che si perde quando si costruisce una diga, è il suono della corrente, le acqua si muovono in silenzio e non emanano più nessun rumore. Lo stesso accade con la lingua locale: se modifichi il paesaggio, i vecchi termini diventano obsoleti, diventano stantii. Quindi, per rispondere alla tua domanda, se smettiamo di dire Zumiriki, l'isola scomparirà, se continuiamo a dire quella parola, continuerà ad esistere. E' una voce naufragata che possiamo riportare in superficie, ancora una volta grazie alla magia del cinema.


Stai lavorando su nuovi progetti? 

Devo confessare che la mia passione è catturare le voci che stanno scomparendo, perché brillano di una luce particolare prima di salutarci per sempre. Mi interessa questa lunga agonia e la sua scintilla. Sto lavorando sulla parola "farfalla" in lingua basca. Un secolo fa c'era un grande filologo, Louis Lucien Bonaparte, nipote dell'imperatore, che ha stilato una lista di 127 modi diversi di dire "farfalla" nelle nostre valli: Pinpilinpauxa, Mitxeleta, Mitxirrika... Non abbiamo mai saputo il perché di questa abbondanza e precisione in questo animale bellissimo e particolare, portatore di sogni e grandi metafore. Anche Nabokov ammirava la ricchezza del nostro linguaggio. La mia idea è di scoprire quanti di questi 127 animali esistono ancora, ma soprattutto registrare e scoprire chi sono (o sono state) le ultime persone a parlare di loro. Al momento, ho 53 termini e "oratori", alcuni di loro sono gli unici che ricordano un nome preciso, e quelle farfalle lasceranno con loro il nostro paesaggio. Ancora una volta, è un progetto scatola nera, registrare delle voci prima che arrivi la fine.


Intervista: Giovanni Benini / trad. all’italiano: Silvia Cometti


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