31/08/2018

NELUZZO

NELUZZO

Neluzzo è uscito dalla sua Romania per la prima volta. Resta in Italia per una settimana grazie al Festival che lo ha invitato insieme con i registi del film Lupele. Quando, nella sala gremita, parla del periodo comunista si emoziona. «Ma sono lacrime di felicità, pensando a quanto ho sofferto», ci confiderà in Osteria. Poi intona un canto rumeno. Voci dalle montagne del mondo, come quella di Lilit che dall’Armenia ha portato il suo piccolo film che parla di famiglia. Il visto per l’Europa che ha ottenuto per venire al Festival le servirà per il lavoro di regista che sogna di continuare a fare. Altre voci dalla Bolivia, dal Belgio, dalla Francia. Nell’affollata proiezione serale due film e due cuori, quello del toro sacrificato per invocare il tio della miniera, e quello di una motocicletta, La persistente. L’accostamento provoca. Il pubblico si interroga. Le due giovani registe, Karen e Camille, dialogano lungamente davanti a un bicchiere di Valpolicella. Rosso, come il sangue dei loro film, come il ricamo della camicia tipica rumena, come la fada del Festival. «Lasciatemi cantare con una chitarra in mano», intona Neluzzo. Un volto e una voce che non dimenticheremo.

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