23/08/2018

DEL VERO E DELL'IMMAGINARIO

DEL VERO E DELL'IMMAGINARIO

«I vari Sinai, Nebo e anche Olimpo sono diventati da molto tempo ciò che gli alpinisti chiamano delle “montagne da pascolo”; e anche le più alte cime dell’Himalaya oggi non sono più considerate come inaccessibili. Tutte queste vette hanno dunque perso la loro potenza analogica. Il simbolo ha dovuto rifugiarsi in montagne del tutto mitiche, come il Meru degli indiani.» Così scriveva René Daumal nel capitolo primo del suo capolavoro incompiuto, Il Monte Analogo, a cui lavorò fino all’improvvisa morte nel 1944. Eppure a quel tempo le asce- se alle vette delle montagne più “inaccessibili” del pianeta erano di là da venire, l’Everest sarebbe stato conquistato nel 1953 e il K2 nel 1954. Il filosofo francese aveva però già intuito che l’Uomo avrebbe finito per privare le montagne reali di ogni sacralità, espugnandole e facendone terreno di scontro per imprese alpinistiche e record. Forse non immaginava che nel nuovo Millennio molte di esse sarebbero state svilite a un mero itinerario per escursionisti a pagamento, dove perfino il fascino della conquista alpinistica si sarebbe annacquato.
Ecco che la montagna immaginaria, o immaginata, con lo sbiadirsi del mito che aleggiava intorno alla montagna reale, ha rafforzato la sua portata simbolica. Se l’ascesa al Monte Olimpo oggi non è che un’escursione di media difficoltà che si compie in due giorni fino ai tremila metri di una cima come tante altre tra la Tessaglia e la Macedonia, molto più reale e più affascinante sarà nella nostra immaginazione l’inaccessibile, mitico Olimpo, dimora degli Dei. E non è forse l’inesistente Purgatorio una montagna reale nel pensiero cristia- no-occidentale? Per non dire del Meru nella cultura induista e buddhista, del Venusberg nella mitologia germanica o del mitico Uluru per gli aborigeni australiani.
Non ci resta che cercare nelle montagne immaginarie, dunque, quel legame fra la Terra e il Cielo che da sempre è con- naturato all’esistenza stessa delle terre alte? Una risposta è ancora nel libro di Daumal: «Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell’invisibile deve essere visibile». Scarseggiando, in senso alpinistico, le cime inaccessibili sul pianeta Terra, il Film Festival della Lessinia si è dedicato da tempo a scalare, senza mai accedervi del tutto, ai significati simbolici e mitici della montagna, e a indagare la vita di quegli esseri che si industriano alle sue basi, sui suoi contrafforti, sulla sua vetta e, con il pensiero e il desiderio, ancora più in alto.
È stimolante in questa ventiquattresima edizione comparare, anche in senso analogico, le montagne reali o immaginarie dei sessantatré film in programma. Accostare, per esempio, Shangri-La, l’idilliaca valle dell’eterna giovinezza del film di Frank Capra, alla montagna ancora ferita dai residuati bellici della guerra del Vietnam o a quella sventrata da una diga che sommergerà più di cinquemila ettari in Cina. Nella retrospettiva “La montagna immaginaria” si sale simbolicamente con i sette uomini più potenti della Terra nel film La Montaña Sagrada di Jodorowsky (ispirata proprio al libro di Daumal, libro che il compositore Michele Lobaccaro racconterà in musica in un incontro di “Parole Alte”), ma di altri potenti che impongono di celare un massacro nelle viscere di una mon- tagna ci narra con asciutto realismo il film sloveno Rudar. Se l’omaggio tematico del Festival ci fa volgere il nostro sguardo all’orizzonte dell’immaginario, ci mostrano invece la cruda realtà dei cambiamenti climatici le immagini dei ghiacciai che si sciolgono di Beyond the Obvious – Daniel Schwartz Photographer. Se alla cima del Monte Narayama nel mito giapponese del film Narayana Bushiko si portano i vecchi a morire, allo sguardo di un figlio che assiste al suicidio del padre ci induce a riflettere il lungometraggio peruviano Retablo, come alle piccole forze di due bambini che trascinano il cadavere della madre verso la sepoltura ci mette di fronte il cortometraggio Nueve nudos. E una libera sintesi tra simbolismo, immaginazione e realtà è anche quella delle Twin Peaks (le due cime) della celebre saga di David Lynch.
A scorrere i titoli dei film, l’immaginazione e la realtà si mescolano continuamente. E non ci sorprende, giacché è proprio dell’arte cinematografica farlo. Così nella sezione cortometraggi, due animazioni in concorso, l’evocativo La tigre de Tasmanie e l’onirico Die Herberge, si accostano a una cima che pare uscita anch’essa da un disegno e che invece è vera, fatta di giubbotti arancioni dei migranti raccolti morti in mare: l’Ottavo continente. E ancora, c’è una passeggiata verso un antico monastero, nel film croato Kratki Izlet, che vira in un viaggio dentro l’inconscio dei suoi protagonisti, c’è l’ascesa alle Drei Zinnen, le celeberrime Tre Cime di Lavaredo, che fa esplodere i precari equilibri familiari, c’è la perdita dell’adorata motocicletta, La Persistente, che trasforma l’innocuo centauro in un assatanato vendicatore. Fuori dal tempo, eppure così vivo, è il microcosmo animale e vegetale lituano de La foresta antica, come sembra “fuori dal tempo” il divieto che impedisce alle donne di essere filmate nella quotidianità così maschile di Gora, sulle montagne del Kossovo. E nei trentasette paesi di questa edizione, con ventitré anteprime italiane, le storie, vere o immaginarie, sono molte altre, segno tangibile della ricerca che il Festival compie ogni anno in ogni angolo, vero e immaginario, del pianeta.
A viaggiare con la fantasia ci penseranno, beati loro, i bambini e i ragazzi. La sezione FFDL+ (3+, 6+, 9+: c’è un film per ogni età!) conferma la sua vocazione all’esplorazione fanta- stica. Così come bambini da ogni parte del mondo hanno disegnato le loro montagne immaginarie nella mostra allestita dalla Pinacoteca Internazionale dell’Età Evolutiva Aldo Ciboldi. Anche i sette fotografi del progetto SÅM - SEME hanno compiuto una propria esplorazione immaginifica ritraendo la Lessinia nella mostra allestita presso il nuovo Centro Socio Culturale di Bosco Chiesanuova, luogo che si aggiunge da quest’anno agli spazi del Teatro Vittoria e della Piazza del Festival, quest’ultima sede di serate enogastronomiche ben reali, ma i cui gusti non potranno che fare viaggiare con la fantasia e con i sensi tra i sapori della terra lessinica reiventati dagli chef di Lessinia Gourmet.Gran parte degli incontri letterari del Festival sono dedicati alla montagna immaginaria, simbolica e mitica, tra cui l’appuntamento con Elena Loewenthal e la montagna nella Bibbia Ebraica e la tavola rotonda organizzata dal Curatorium Cimbricum Veronense sulla “Montagna fantastica”.
Ad aprire e a chiudere il Festival sono però due ricorrenze. La prima con il cantautore Massimo Bubola e la sua Ballata senza nome, a cento anni dalla Grande Guerra, la seconda con un doppio omaggio di chiusura, quello a Mario Rigoni Stern a cinque anni dalla morte e quello a Ermanno Olmi. Con la proiezione de L’albero degli zoccoli il Festival lo ricorda, maestro tra i maestri, che della montagna e della cultura conta- dina ha detto, in poesia, del vero e dell’immaginario.

Alessandro Anderloni
Direttore artistico

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