08/08/2017

UN FESTIVAL FUORILEGGE CULTURALE

UN FESTIVAL FUORILEGGE CULTURALE

«Per lui e per quelli come lui, e non erano poi tanto pochi come potrebbe sembrare ma la maggioranza degli uomini, i confini non erano mai esistiti se non come guardie da pagare o gendarmi da evitare.» Così pensava Tönle Bintarn, mentre il nipote gli raccontava di Gabriele D’Annunzio che era volato sopra Trento con uno di quegli aeroplani arrivati dal cielo che erano stati parcheggiati nei capannoni di contrada Schbanz. Il contrabbandiere Tönle, l’indimenticabile personaggio di Mario Rigoni Stern, fu contrabbandiere e fuggiasco. Ma attraversò solo confini politici, dacché se l’aria non ha confini, perché dovrebbe averne la terra? Viaggiando portò con sé la sua storia di pastore e di contadino cimbro, costretto a diventare fuorilegge per volontà di coloro che quei confini ritenevano sacri e inviolabili.

Il XXIII Film Festival della Lessinia, come Tönle, si fa contrabbandiere, ma di lingue e di culture, per citare il titolo dell’evento che aprirà il ciclo degli incontri letterari “Parole alte”. E se superare i confini, portando di là storie e idee, può andare talvolta contro le leggi che si danno gli uomini, allora questo è un Festival fuorilegge. Si fa bandito e brigante, come le figure della retrospettiva di quest’anno, dove le montagne sono teatro di lotta armata contro il potere costituito, dai Banditi ad Orgosolo di Giuseppe De Seta, al Brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi, fino alla controversa vicenda di Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, delinquente di uno Stato che a sua volta delinque, dove la politica briganteggia con la mafia. Allora, chi è il vero fuorilegge? Il montanaro Tönle che fa contrabbando per fame e si dà alla macchia per non lasciare il suo gregge di pecore in balia di una guerra che non ha voluto, o lo è di più un’autorità costituita e riconosciuta – non importa dove e da chi – che costringe bambini afghani a contrabbandare esplosivi o lapislazzuli come indaga Pieter-Jan De Pue nel documentario The Land of the Enlightened? Non è forse banditesco lo strapotere delle multinazionali che inquinano le acque andine di Huayhuay come documenta Alessandro Pugno in Jardines de plomo? È un contrabbandiere, certo, Samir che per miseria vende petrolio al confine tra Algeria e Marocco nel film di Mohamed Ouzine, ma non dovrebbe essere altrettanto punibile il contrabbando di responsabilità taciute dei massacri avvenuti sul Caucaso meridionale, dove i sopravvissuti di Les éternels di Pierre-Yves Vandeweerd si aggirano, come fantasmi sofferenti? Sono alcuni dei titoli dei film in concorso quest’anno, concorso dove anche il confine tra fiction e documentario è sempre più labile, come in Wolf and Sheep, produzione afgano-europea di Shahrbanoo Sadat, o nell’essenzialità di Qingshui li de daozi del cinese Wang Xuebo.

A poco a poco, mentre il programma di questa edizione si veniva facendo, ci siamo resi conto che molti film erano legati tra di loro da storie di attraversamento e di fuga sulle montagne. Che le terre alte, le Alpi in particolare, siano state storicamente un luogo privilegiato di nascondimento, lotta, resistenza e ribellione, lo racconta al Festival Enrico Camanni con il suo libro Alpi ribelli o lo dicono i diari del partigiano Antonio Giuriolo che Renato Camurri ha raccolto con il titolo Pensare la libertà. Libertà che, nel tentativo di attraversare i Pirenei, cercò anche Walter Benjamin nel 1940, come racconta la filosofa Adriana Cavarero. “Libertà andò cercando”, per parafrasare il Catone dantesco, anche Ettore Castiglioni in quella fuga suicida verso la montagna, verso quello stesso confine al quale aveva accompagnato ebrei e fuggiaschi, tra cui Luigi Einaudi. Marco Albino Ferrari narra questa storia nel docu-fiction Oltre il confine. Storia di Ettore Castiglioni di Andrea Anzetti e Federico Massa. Nella sezione fuori concorso “Montagne italiane” c’è un’altra bella storia di necessaria ribellione e di necessaria memoria, quella del partigiano Quintino nel documentario di Gabriele Carletti.

Un Festival cinematografico ha senso di esistere, e di valere i soldi per cui è finanziato, se aiuta a riconoscere e andare oltre ai confini geografici, che a ben guardare sono solo confini culturali, se chi esce dalla sala torna cambiato, come si torna cambiati da un viaggio. Questa convinzione guida la nostra ricerca, fatta essa stessa di viaggi nelle cinematografie del pianeta. Lo dimostrano i cinquantasei film che arrivano da trentun nazioni, con diciannove anteprime italiane. Non c’è attraversamento possibile senza fatica. A farci carico della fatica di garantire di anno in anno l’ormai riconosciuta qualità dei film, ci incoraggia il confronto con quella, ben più grande, di emigranti, fuggiaschi e profughi, altrettanti protagonisti dei film di questa edizione. Altra fatica è quella degli esploratori che viaggiano non con velleità di vittoria sportiva o di record, ma per il gusto e la necessità di conoscere e imparare. Per restare tra i film in concorso, è un’esplorazione onirica quella del cileno Francisco Hervé ne La ciudad perdida alla ricerca della Città d’Oro dei Cesari, è un viaggio oltre i pregiudizi di una terra di cui l’Occidente ignora quasi tutto quello di Fulvio Mariani e Mario Casella attraverso la remota provincia cinese dello Xinjiang per scalare le Montagne Celesti del Kirghizistan fino ai Monti Altai, è un’esplorazione di memoria quella che un collettivo di giovani registi italiani compie nella profonda Cina rurale con le fotografie di un viaggiatore cinese degli anni Trenta in Blank Lands.

Anche crescere è passare da una parte all’altra, lo sanno le adolescenti Khadija e Fatima di Tigmi n igren di Tala Hadid, di fronte alle scelte di vita in un mondo in cui tradizione e religione segnano strade obbligate. Lo sa la dodicenne Lisa di Das Mädchen vom Änziloch di Alice Schmid, un’età in cui si può decidere di andare a scoprire le carte di un mondo che gli adulti proibiscono. E come un contrabbandiere che si porta a spalle il peso della sua storia, i bam- bini e le bambine indiane di My Name is Eeoow di Oinam Doren porteranno sempre con sé il tenerissimo fardello di quella melodia con cui la madre, appena nati, ha dato loro un nome. Se i bambini e i ragazzi che assistono, ogni anno sempre più numerosi, alla programmazione della sezione di cortometraggi e animazioni FFDL+ si porteranno a casa anche solo una melodia, il Festival avrà assolto al suo ruolo di “passatore”, di colui che traghetta dall’altra parte di un fiume.

La parabola di questi dieci giorni si apre e si chiude mettendoci di fronte alle pulsioni umane, quelle che permettevano a un uomo di schiavizzare altri uomini e di sposare una dodicenne nel Brasile del 1821 del cupo film Vazante di Daniela Thomas, o quelle che spingono tre giovani a cercare nel bosco il rifugio, il gioco o la sfida nel film I tempi felici verranno presto che il regista Alessandro Como- din viene a presentare come ospite di chiusura. Nel film di Comodin il confine è quello con noi stessi e con le nostre paure ancestrali – il bosco, il lupo, il buco – ed forse quello più difficile da attraversare, laddove si scelga di farlo. Non resta che mettersi a camminare. «Non c’è cosa che mi venga così naturale e così facile» ama dire Maurizio Maggiani. Lo scrittore di Castelnuovo Magra, che ha scelto di tornare a vivere in collina, nel libro La zecca e la rosa che viene a presentare al Festival, scrive: «Vado per fossi e orti a toccare, ascoltare, guardare e odorare...». Così fa il Film Festival della Lessinia, vagando per le montagne del mondo «... a considerare l’infinito universo di ciò che vive, evitando di disturbare. A meno che, metti, non mi trovi tra i peli la zecca assassina». Allora, in quel caso, anche il Festival si fa fuorilegge culturale.

Alessandro Anderloni

Direttore artistico

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